Nuove su riconoscimento dei visi e area dei volti

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 14 marzo 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una ragazza, in una città diversa da quella in cui vivo in Italia, l’altro giorno mi ha adocchiato da lontano e, richiamando la mia attenzione con un saluto festoso, mi è corsa incontro. Dopo un istante l’ho riconosciuta: mi aveva avvicinato qualche mese fa e per qualche minuto mi ha parlato della sua associazione. Da allora non ci eravamo più viste, e prima non ci conoscevamo. Se dovessi descrivere il suo viso non avrei difficoltà, ma se lo dovessi caratterizzare a parole per farla identificare da qualcun altro, non saprei come fare. Bruna, dai capelli lunghi, dai lineamenti regolari, come in Italia se ne vedono tante per strada. D’altra parte, io non sono da meno, con i miei ginger hair comunissimi negli USA e niente di così evidente o particolare da meritare menzione. Eppure, ci siamo riconosciute subito, come se i nostri cervelli avessero avuto al loro interno una fotografia a portata di mano per un confronto! Infatti, la capacità umana di riconoscere i volti, che pure in circostanze come queste si avvale di altre integrazioni, quali statura, figura, postura, andatura, associazioni di spazio e tempo, è un processo di identificazione veramente speciale che continua ad attrarre l’interesse dei ricercatori.

I processi percettivi e le strategie cognitive che si compiono in frazioni di secondo sono stati indagati secondo uno spettro ampio di approcci, dalla ricostruzione dei micromovimenti di fissazione dell’occhio, resi come grovigli di linee sulla sagoma di un volto, alla sintesi gestaltica basata su elementi emblematici e distanze reciproche fra occhi, naso, bocca e linee di contorno. E le ipotesi neurofisiologiche si sono evolute col progredire delle conoscenze, dall’indicazione di un’area corticale temporo-occipitale dei volti sulla faccia inferiore degli emisferi, secondo una visione modulare, all’individuazione di una rete di sottosistemi paralleli che cooperano per assicurare un’efficiente riconoscimento[1].

Si ritiene che la rete di aree che hanno mostrato una sensibilità selettiva per i volti in numerose prove sperimentali, sia nell’insieme importante per il riconoscimento[2] dei visi; tuttavia, siamo ancora lontani dalla comprensione del funzionamento di questa rete e del ruolo che hanno nel riconoscimento gruppi neuronici sensibili ai volti, ma esterni e distanti dal giro fusiforme e situati nella corteccia dei lobi frontali, temporali e occipitali. Axelrod e Yovel dell’Università di Tel Aviv, impiegando una procedura ad alta risoluzione di immagini e uno specifico protocollo per l’identificazione delle aree temporali anteriori, hanno fornito un contributo degno di nota (Axelrod V. & Yovel G., Successful decoding of famous faces in the fusiform face area. PLoS One 10 (2): e0117126, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: School of Neuroscience, School of Psychological Sciences, Tel Aviv University, Tel Aviv (Israele).

Una delle abilità più straordinarie della nostra percezione visiva è l’identificazione di una persona a colpo d’occhio, con un breve lancio di sguardo sul suo viso, indipendentemente dall’angolazione visuale, dal tipo di luce, dall’espressione emotiva e da variazioni evidenti quali il cambiamento di acconciatura e colore di capelli di una donna, o il farsi crescere i baffi di un uomo. Anche se i meccanismi neurali e cognitivi alla base di questa stupefacente facoltà non sono stati ancora del tutto decifrati, notevoli progressi sono stati compiuti di recente. Fino alla fine del secolo appena trascorso, la teoria dominante voleva che l’abilità specifica di discriminare le facce tipica di noi adulti non fosse presente nella prima infanzia e si sviluppasse intorno ai 10 anni, con un ruolo importantissimo dell’esperienza. Questa visione attribuiva ai processi di apprendimento derivanti dalla quotidiana visione di volti familiari e non familiari, un’importanza decisiva nella formazione dei collegamenti strutturali e dei processi funzionali che consentono lo sviluppo dell’abilità di identificazione tipica dell’adulto. Per inciso, si nota che tale convinzione teorica ha avuto un peso legale nella considerazione del valore di testimonianza di minori di età inferiore ai dieci anni. Attualmente, grazie ad un gran numero di studi condotti su neonati e lattanti, e sulla base di evidenze genetiche, la visione teorica è completamente capovolta: l’importanza dei geni nel determinare le configurazioni di reti neuroniche e processi neurali è decisiva per il riconoscimento dei volti e già rilevabile alla nascita[3].

Negli anni recenti sono state definite delle proprietà di base nella percezione dell’identità dei volti negli esseri umani adulti; da tali proprietà emerge un profilo specifico di questa abilità. Ad esempio, l’identificazione è più accurata se le facce sono diritte, ossia correttamente orientate e non sottosopra, sia nelle prove percettive sia di memoria, con un decremento di prestazione dovuto all’inversione maggiore che con qualsiasi altro oggetto.

Un’altra proprietà è quella comunemente indicata come vantaggio del trequarti: la capacità di generalizzazione di una singola immagine di un volto fotografato in una determinata angolazione (profilo, prospetto, due terzi, dall’alto, dal basso, ecc.) è piuttosto scarsa in tutti noi, con l’eccezione del trequarti[4].

La terza è relativa alle due diverse strategie, automaticamente selezionate dal nostro cervello, a seconda che si percepisca un volto familiare o non familiare. Nel primo caso l’elaborazione connessa con memoria e riconoscimento è concentrata sugli elementi interni alla sagoma del volto, quelli che Leonardo da Vinci nella sua superba lezione di ritrattistica chiamava “membri del viso”, ossia gli occhi, il naso e la bocca, e gli spazi immediatamente circostanti, quali guance, contorno occhi, radice del naso e labbro superiore. Nel secondo caso la focalizzazione è maggiore sulle regioni esterne, che determinano la conformazione della sagoma del viso e le caratterizzazioni di contorno, con particolare attenzione alla linea frontale di attaccatura dei capelli. Per tale ragione, si tende a considerare molto più anziano un estraneo che si sia rapato i capelli a zero o da poco stia divenendo calvo, di un conoscente nelle stesse condizioni; infatti, la stima del maggiore invecchiamento per la scomparsa della linea frontale di inserzione dei capelli si verifica anche negli esperimenti con fotografie di persone visualizzate al computer, delle quali non si conosce l’età, né alcun altro dato personale.

La quarta proprietà è relativa alla maggiore efficienza di identificazione delle persone appartenenti alla propria morfologia etnica (impropriamente definita “razza”).

Gli studi ormai classici mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) hanno rivelato l’esistenza di tre regioni della corteccia cerebrale umana che rispondono selettivamente ai volti: la FFA (face fusiform area) nel giro fusiforme sulla superficie ventrale dell’encefalo; la OFA (occipital face area) sulla superficie laterale del lobo occipitale in prossimità del margine inferiore; la fSTS (face superior temporal sulcus) localizzata nella parte posteriore del solco temporale superiore.

La FFA, che sembra si riesca a trovare virtualmente in tutti gli adulti con una breve “scansione di localizzazione”, risponde molto più intensamente ai volti che a successioni di lettere, testi, fiori, mani, case, oggetti di uso quotidiano e tutti gli altri stimoli visivi che sono stati finora impiegati per verifiche sperimentali. Studi analitici hanno dimostrato che le popolazioni neuroniche presenti nella FFA possono distinguere l’identità dei volti ma non le espressioni facciali. La FFA interviene direttamente nell’identificazione dei visi nella posizione corretta, ma sembra non partecipare all’identificazione delle immagini di facce capovolte; infine ha mostrato capacità di elaborazione olistica[5]. La FFA e la OFA sono state maggiormente studiate per l’identificazione dei volti, mentre la fSTS sembra più importante per il rilievo delle espressioni facciali.

Studi più recenti hanno indicato nel lobo temporale anteriore (ATFA, anterior temporal face area) un’altra componente della rete che interviene nell’identificazione dei volti umani. Le popolazioni neuroniche sensibili ai volti di questa regione non sono state localizzate in una singola area costante per estensione e topografia, pertanto si attendono gli esiti di ulteriori indagini. Altre evidenze hanno indicato la presenza di estesi gruppi neuronici sensibili ai volti nella corteccia prefrontale e nell’amigdala.

Lo studio elettrofisiologico in termini di potenziali evocati da eventi (ERP, da event-related potential) ha consentito l’identificazione di un potenziale negativo (N) dopo circa 170 millisecondi dalla percezione di un volto, quale contrassegno selettivo dell’elaborazione che consente l’identificazione di un viso (N170). Le facce capovolte causano un ritardo di sviluppo di 10 millisecondi ed una maggiore ampiezza del potenziale. Il potenziale N170 mostra, come tratto di riconoscimento di identità, una riduzione di entità di risposta per le facce ripetute rispetto a quelle non ripetute nelle serie mostrate ai volontari nelle sessioni sperimentali. La fonte neuronica del potenziale N170 dei volti non è ancora stata identificata.

Sula base di quanto emerso dalla sperimentazione più recente, l’identità di un volto potrebbe essere riconosciuta sulla base di configurazioni di attività multivoxel nella FFA e nel lobo temporale anteriore. Ma a causa delle difficoltà di localizzazione, il ruolo effettivamente svolto nell’ambito della rete dall’area selettiva per i volti nel lobo temporale anteriore, rimane sconosciuto. A ciò si aggiunga che la maggior parte degli studi circoscrive la propria analisi alle aree occipito-temporali, senza estendere le indagini sulla capacità di decodifica dell’identità dei volti a regioni con popolazioni neuroniche selettive per i visi umani, ma situate più anteriormente, come i nuclei dell’amigdala e la corteccia prefrontale.

Fatte queste premesse, ritorniamo al lavoro condotto dai due ricercatori israeliani.

Axelrod e Yovel si sono avvalsi di un recente miglioramento della metodica di neuroimmagine più adoperata, che ne accresce la sensibilità di rilievo attraverso la formazione di immagini ad alta risoluzione: HR-fMRI (high resolution - functional magnetic resonance imaging), per studiare l’intera rete fronto-temporale di aree sensibili ai volti e le aree adiacenti prive di questa selettività funzionale. La metodica è stata impiegata per indagare le risposte del cervello dei volontari alla vista di visi di persone famose.

Proprio per cercare di colmare la lacuna di conoscenza cui prima si è accennato, i ricercatori hanno dedicato particolare impegno all’analisi dell’area dei volti del lobo temporale anteriore, che sono riusciti a localizzare in maniera affidabile grazie ad uno specifico protocollo di scansione ottimizzata.

I dati ottenuti, per il cui dettaglio analitico si raccomanda la lettura dell’articolo originale, attestano che il riconoscimento dell’identità dei volti può avvenire con una probabilità più elevata del caso solo nella FFA. Tutto quanto emerso da questo studio, fornisce supporto al ruolo tradizionalmente attribuito alla FFA di struttura specializzata per il riconoscimento dei volti umani. Viceversa, il tipo di indagine non consente di escludere alcun ruolo, nei processi che permettono di riconoscere una persona dalla faccia, per le aree anteriori di più recente scoperta.

Pertanto, il mistero sul ruolo delle altre aree della rete selettiva per i volti rimane, e la parola ritorna alla ricerca.

 

L’autrice della nota ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per l’aiuto nella redazione del testo e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-14 marzo 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] La storia dello studio della facoltà di riconoscere i volti umani comincia con l’individuazione di lesioni in un’area corticale visibile dalla superficie inferiore dell’encefalo e situata in una zona paramediana al confine fra lobo temporale e occipitale, corrispondente al giro fusiforme, quale causa di prosopoagnosia, ovvero di perdita della capacità di riconoscere dal viso persone note. I casi strazianti di pazienti che, in seguito ad un episodio cerebrovascolare o per altre cause di lesione focale, erano diventati incapaci di riconoscere la propria moglie ed altri familiari, sono stati descritti fin dal secolo scorso. Dal riconoscimento dell’area dei volti del giro fusiforme, necessaria ma non sufficiente per memorizzazione e riconoscimento delle facce, si è passati all’individuazione di un circuito: “…si ricorda che nella nostra specie, come negli altri primati, esiste un sistema neuronico dedicato per l’elaborazione dei volti: tale sistema prevede un collegamento con l’amigdala specifico per la comprensione delle emozioni espresse dalla mimica facciale.” (v. Note e Notizie 05-07-14 Memoria di riconoscimento indipendente dall’Ippocampo). Questo sistema è stato oggetto di un interessante studio recensito da Lorenzo L. Borgia: Note e Notizie 05-07-14 Neuroni selettivi per le emozioni percepite nell’amigdala umana.

[2] Ricordiamo che il riconoscimento implica almeno tre elementi concettualmente distinti: 1) possesso di una memoria percettiva che funga da riferimento (campione, matrice, stampo o template); 2) rilievo percettivo adeguato (sufficiente) per risoluzione, definizione e durata sensoriale (memoria iconica); 3) processo di confronto e decisione di identità o diversità (v. Perrella G., Appunti su fenomeni percettivi e processi cognitivi, p. 13, Cognitive Science Club, 1994).

[3] Una dettagliata analisi e discussione degli studi condotti in questo campo, organizzata come risposta a 3 domande (1. Quali sono i contributi genetici ereditati alla specificazione del sistema adulto per l’elaborazione dell’informazione relativa all’identità dei volti? 2. Che cosa è derivato dall’esperienza? 3. Come esattamente i geni e/o l’esperienza funzionano separatamente o insieme nel corso dello sviluppo per produrre il sistema adulto?) è stata realizzata da Elinor McKone, Kate Krookes and Nancy Kanwisher: The Cognitive and Neural Development of Face Recognition in Humans, pp. 467-482, in “The Cognitve Neurosciences” (M. S. Gazzaniga editor-in-chief), The MIT Press, Cambridge, Massachusetts (USA), 2009.

[4] Loogie, Baddley & Woodhead, Appl Cogn Psychol., 1: 53-69, 1987: le applicazioni sono ormai insegnate nelle scuole americane di formazione dei registi.

[5] Per i riferimenti ai lavori sperimentali si rimanda alla bibliografia di Elinor McKone, et al., op. cit., 2009.